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CARCERE E CITTA'

Il percorso “Dall’afflizione alla riabilitazione” punta al superamento del carcere come risposta unica a qualsivoglia forma di trasgressione, riconducendolo invece al ruolo di extrema ratio per i soli reati non sanzionabili con misure alternative alla detenzione.

Per far questo si è cercato di smontare completamente la “grammatica” e la “sintassi” declinate dall’edilizia penitenziaria nel corso degli ultimi decenni: no a celle-corridoi-sezioni-bracci-raggi-mura di recinzione, nonché all’espulsione degli istituti dalla città; sì ad ampi spazi destinati alla formazione, alle attività artigianali, allo sport, alla socialità; e a camere di pernottamento individuali aggregate in gruppi/appartamento per 6-8 persone, mimando modi e dimensioni di un normale gruppo familiare (oggi ahimè mediamente assai più sottile); sistema “condominiale” di distribuzione ai singoli gruppi-appartamento (atrio di ingresso, scala-ascensore-pianerottolo-accesso diretto all’appartamento); perimetro dell’istituto “abitato” da funzioni compatibili (lavoro, colloqui con familiari e avvocati e mini-alloggi per l’affettività, residenze per la polizia penitenziaria); istituti penitenziari di dimensioni contenute integrati nei tessuti urbani.

In estrema sintesi, un istituto penitenziario come microcosmo urbano capace di garantire ai detenuti tutti i diritti riconosciuti ai normali cittadini, a eccezione ovviamente della totale libertà di movimento (libertà peraltro da non conculcare completamente, puntando all’erogazione, in tutti i casi possibili, di autorizzazioni al lavoro esterno e di permessi-premio per coltivare i rapporti familiari).

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