LUCA
ZEVI
MUSEO DELLA MEMORIA E DELL'ACCOGLIENZA
Tra il 1943 e il 1947, Santa Maria al Bagno divenne un importante centro di raccolta per i profughi della Seconda Guerra Mondiale. Con la liberazione dal fascismo dell’Italia meridionale per mano degli Alleati, una grande ondata di profughi si riversò in Puglia. Si trattava di profughi jugoslavi, appena usciti dai campi di concentramento del sud Italia o giunti via mare dai Balcani, e di ebrei stranieri che arrivavano dalle regioni italiane ancora sotto il fascismo. Per far fronte a quest’emergenza il comando locale di occupazione alleata ordinò la requisizione delle case e delle ville di Santa Maria al Bagno, Santa Caterina e delle contrade tra la litoranea e Nardò per destinarle ad alloggi temporanei per i profughi. La presenza dei profughi ebrei aumentò alla fine della guerra con l’esodo - dai maggiori campi di concentramento europei - di centinaia di sopravvissuti all’Olocausto, che guardavano al loro soggiorno nella penisola come l’ultima tappa prima di raggiungere la Terra di Israele. La popolazione dei profughi diede vita ad una comunità attiva e vivace dal punto di vista socio-culturale, economico e politico, e strinse cordiali rapporti con la popolazione locale. Oggi, al Museo della Memoria e dell’Accoglienza di Santa Maria al Bagno è possibile ricostruire la trama di questa vicenda attraverso la mostra fotografica e i murales – opera del profugo ebreo-romeno Tzvi Miller – esposti al suo interno.